Spedizione Nanga Parabat
  
Spedizione al Nanga Parbat 8125 m (Pakistan) Giugno/Luglio 2008.
Karl, assieme a Walter Nones e Simon Kehrer tenterà la scalata della conosciuta parete Rakhiot, sempre su una via ancora
inviolata della cima Nanga Parbat 8125 m (Pakistan).

   
5. ed ultimo comunicato - Campo base, 13.07.2008

È il 13. Luglio. Sono straiato nella mia tenda e provo a continuare a leggere. Ma non riesco a concentrarmi, la mia mente è fissata su quella parete. La parete Rakhiot, su quel stramaledetto seracco in mezzo alla parete. In quella fascia di ghiaccio, che ci ostruisce la via di salita.

Un mese fa quando arrivammo al campo base, questa parete mi fece paura. Le foto invece, danno l’impressione che faccia parte del mondo delle fiabe. La parete vista da “Fairy Meadows” si erge con tutta la sua maestosità per 3 chilometri verso il cielo.

Ben 9 chilometri di placconata separano la vetta del Ganalo Peak ad ovest dalla vetta di Rakhiot ad est. Però sono le scariche di ghiaccio che mi procurano paura.

  

Sono appesi dappertutto su questa montagna, sicuramente già da secoli fanno tremare tutta la valle ed inducono la gente del paese ad avere rispetto e sacralità. Dal basso mi è parsa una montagna ostica, tanto da lasciarmi perplesso e scettico per tutto il periodo che siamo qui.
E` una missione pericolosa! Probabilmente affronteremo la montagna come degli assaltatori di prima fila in guerra. Ma invece delle armi avremmo le piccozze e i ramponi. Dovremmo prestare tanta attenzione, scegliendo la linea con il minor pericolo. Quella che abbiamo individuato corrisponde più o meno alla linea già scelta a casa. Ormai da una settimana teniamo d’occhio tutti i giorni la seraccata per registrare ogni minimo cambiamento. Quella fascia di seracchi, che per noi è l’enigma della salita, quella che potrebbe compromettere il successo. Sin dal ns. ritorno dal Chongra abbiamo ripreso le ns. forze abbastanza velocemente, la voglia cresce, siamo fiduciosi e gasati. Quattro giorni fa abbiamo portato un carico della nostra attrezzatura sulla morena glaciale sotto la parete. Sono 500 metri di dislivello dal campo base che ci farà risparmiare un po’ di energie il 1° giorno di salita. Nonostante l’evidente pericolo anche Walter e Simon sono motivati e convinti di salire. Nella mia mente però, il fattore della responsabilità, mi procura ansia, pensando frequentemente a casa, ai miei cari. La cosa migliore onde evitare veramente sgradevoli imprevisti, sarebbe rinunciare al progetto.
Qualche giorno prima di partire per questa spedizione, uscendo da un bar, sono inciampato in un vaso di fiori che faceva da bordo sulla strada statale. Mi sono rovesciato, avevo ai piedi solo i sandali e così ho sbattuto il ginocchio sull’asfalto, procurandomi un dolore allucinante. Mi sono rialzato ed ho continuato a camminare, zoppicavo dal dolore, però sentivo che il ginocchio era rimasto illeso. Probabilmente se passava una macchina in quell’istante, mi avrebbe sicuramente investito. Il barista, un mio caro amico, uscì di corsa chiedendomi se mi fossi fatto male, non avevo più fiato per parlare. Probabilmente avrà pensato: “vuole andare a fare i 8000 metri e non sta neanche in piedi a 1500 metri”. Il destino ha voluto che mi succedesse niente ed è per questo che sono adesso qui, qui sotto la parete Rakhiot. Fin’ora tutto è andato come da programma, mica ci tireremo indietro adesso? Domani al mattino saliamo alla morena, lo zaino sarà abbastanza pesantello, in più abbiamo gli sci da portare. Aspetteremo fino a quando sarà buio, perché di giorno fa troppo caldo. Se non è nuvolo, la luna sarà dalla nostra parte. Il seracco intermedio deve fare il “bravo” da 8 a 10 ore, non chiediamo poi tanto?! Sfrutteremo una costola nevosa fino sotto la fascia di rocce. Essa non dovrebbe creare problemi. Se poi nella giornata di martedì riusciamo a saltare sopra al “nostro” seracco intermedio allora saremo a cavallo del pilastro! Dopodiché toccherà a noi! A resistere alla fatica e a superare la parete con maestria. Una volta che avremo raggiunto il pianoro sommatale, punteremo la vetta. Abbiamo viveri e gas per sciogliere neve per almeno 5 giorni.…speriamo in bene! La discesa è prevista per la via di Hermann Buhl del ’53. Il nostro staff al campo base ci consiglia invece di scendere dalla via “normale”, per la parete Diamir. Chissà: “forse” gli ho detto, tutto dipenderà da tanti fattori. Inshallah!! ( Come Dio vorrà )

Un saluto affettuoso da Karl Unterkircher, Walter Nones e Simon Kehrer

   
   
4. comunicato - Campo base, 05.07.2008

Il 03.07.08 alle 09.20 del mattino siamo sulla cima principale di Chongra 8630 m. Chissà se su quella cima c’ è gia stato qualcuno prima di noi. Immagino di si, ma dove siamo saliti noi per la cresta ovest suppongo proprio di no. Chiedo anche a Marteen che a sua volta chiede ai locali…ma non hanno nessuna informazione.

Questa salita è stata una scelta nostra per favorire l’ acclimatamento.

Siamo partiti il 1° di Luglio dal campo base, prima scendendo per 200 metri di dislivello sul ghiacciaio Rakhiot. Abbiamo gli zaini pesanti, tra tenda, sacco a pelo, fornelletto, pentola, tutta l’ attrezzatura da roccia e ghiaccio, ramponi, piccozze, casco, imbrago, chiodi, viti, corda, bastoncini, ed alimenti per più giorni. Questa volta però siamo senza sci. Sarebbe un peso inutile poiché in salita non sarebbe possibile metterli.

  

Il ghiacciaio non è particolarmente ostruttivo, raggiungiamo la sponda opposta in breve tempo. Quindi dapprima abbiamo sfruttato una dorsale semirocciosa che dal ghiacciaio sale per 500m di dislivello giungendo ad un altipiano. Continuiamo su una cresta appoggiata e perlopiù marcia, l’ avevamo scelta come linea logica e sicura non sapendo però come sarebbe andata a finire. La cresta in alto si erge verticale così ci siamo divisi ognuno credendo di trovare la via di salita migliore. Alla fine arrampicavamo a 5 metri di distanza però senza vederci, perche separati dallo spigolo. La roccia era friabile con delle scaglie appoggiate di granito pericolosissime.
L’ aria sottile e lo zaino pesante ci danno del filo da torcere. Siamo già dieci ore in cammino finalmente riusciamo a superare questa cresta pericolante che dolcemente in cima si appoggia al ghiacciaio, uno dei molti che colano dalle pendici dalla cresta ovest del Chongra. E già pomeriggio tardi e il sole ora scarica tutta la sua forza sulle nostre teste, c’ è una calma di vento come ormai di consueto. La neve sul ghiacciaio è bagnata da sprofondare passo per passo. Poco dopo raggiungiamo un pianoro a quota 5700, dove decidiamo di piazzare la tenda. È stata una giornata dura. Il giorno seguente affrontiamo lo sperone ovest della nostra montagna, partiamo presto ma il sole ci raggiunge presto, è una giornata spettacolare. Ben pesto il caldo ci soffoca e dopo aver affrontato due ripide rampe, la neve è talmente molle e marcia da impedirci di proseguire. Ci mettiamo delle ore a fare poche decine di metri, così decidiamo già verso mezzogiorno di fermarci sotto la parete sommatale, evitando così di consumare tutte le energie rimanenti. Piazziamo la tenda in cresta di neve esposta, siamo a circa 6400 metri. Butto il mio sacco a pelo sulla tenda per fare ombra all’ interno, fa un caldo boia ed il vento è ancora assente. Facciamo acqua sciogliendo la neve con il fornelletto. Lo mettiamo all’ interno della tenda legando la pentola con una fettuccia al centro della tenda per evitare di rovesciarla nei momenti di distrazione. Mangiamo un misto nocciole e uva passa. Abbiamo tutto il tempo di riposare. Arriva la notte, il cielo è saturo di stelle, si vede anche la via lattea, o almeno sembra lei, quella nube fitta illuminata da miliardi di stelle. Ci svegliamo presto al mattino, sento di non stare propri bene. Ho un po’ di nausea e lo stomaco sembra una lavatrice, chissà cosa ho preso. Questa è la quota. Fa alquanto freddo e non appena abbiamo finito i preparativi, pian piano sta albeggiando. Smontiamo la tenda e partiamo, all’ inizio andiamo via abbastanza spediti anche perchè la superficie ghiaccio-nevosa ci sostiene bene, più in alto però iniziamo a sprofondare fino al ginocchio e poi fino all’ anca. Incredibile come su questo pendio ripido la neve possa rimanere su. Il dislivello non è molto ma la neve farinosa ci costringe a nuotare faticosamente da scavare una trincea. Finalmente dopo 4 ore e mezza, superiamo gli ultimi saltini di roccia, sono le 9.20. La cima di Chongra è nostra. Il panorama è a mozzafiato. A nord partendo dal gigante del Rakaposhi si vedono verso oriente tutti gli altri colossi famosi e non. Chiaramente riconoscibili sono i 7000 del Batura, Le torri di Lathok fino ai colossi del Karakorum ( K2, Brosd Peak, e Gasherbrum ecc.). Non rimaniamo tanto in cima, solamente un ora. La splendida giornata pian piano si sta trasformando in un forno, dobbiamo scendere per 3000 metri di dislivello. Decidiamo di scendere per la cresta sud traversando in parete dove sostano i seracchi. Man mano che scendiamo raggiungiamo uno spigolo del ghiacciaio che conduce al ghiacciaio sottostante. Il sole ormai è scottante e abbiamo finito le dosi liquide. Potremmo fermarci a fare acqua, ma la voglia di tutti è quella di scendere. La discesa sul ghiacciaio l’ avevamo intercettata durante la salita, così senza grossi ostacoli alla sera raggiungiamo esausti il campo base.

http://it.youtube.com/watch?v=PtYca7t_Vmg

Un saluto affettuoso da Karl Unterkircher, Walter Nones e Simon Kehrer

   
   
3° comunicato - Campo base, 28.06.2008

La nostra fame è insaziabile, mangiamo fino a tre quattro volte al giorno e beviamo continuamente. Cerchiamo, anche se non c’è gran scelta, di cambiare spesso gli alimenti con po’ di fantasia per non aver la nausea. Sento già di avere perso peso, se mi guardo i bicipiti sembrano ridotti a budino.

Siamo ritornati al campo base, dopo aver montato un campo alto per favorire l’acclimatamento. Posso riconfermare che la mia quota crisi (quella dove inizialmente mi sento debole, ho la nausea e faccio fatica per ogni movimento tanto da arrivare al punto di chiedermi come farò mai a raggiungere la vetta?) è tra i 4000 ed i 5000 metri. Questo fatto sembrerà strano ma è vero! Abbiamo ancora bel tempo, solo qualche isolato temporale pomeridiano ci rinfresca un po’ l’ aria.

  

Al momento gradirei che ci fosse un periodo di maltempo per poi avere maggior probabilità di bel tempo quando raggiungiamo la vetta. Nei giorni dove ci rilassiamo cresce la voglia di salire, specialmente la sera quando il sole tramonta. Attorno a noi un’ anfiteatro di ghiacciai con la cima del Nanga Parbat che si tinge d’oro. Le giornate sono troppo belle e calde, tanto da condizionare in modo negativo anche il ghiaccio del pilastro Rakhiot. Mi chiedo perché viene chiamata Rakhiot quando i locali la chiamano Raikhot!? Il giorno dopo decidiamo di fare un’altra ricognizione. Poi la sera mi appresto ad andare a dormire nel mio sacco a pelo, posto sopra un materassino coperto da un tappeto che ho comperato ad Islamabad. Riesco subito ad addormentarmi e a sognare… dopo un pò mi sveglio, sento che il vento si alza e fissando la mia lampada frontale torno alla realtà! Siamo qui per una “missione”… quella parete…quel seracco a metà parete…non mi esce dalla testa. Ci vorranno sicuramente 10 – 12 ore per salire il seracco, mi chiedo se saranno ore inutili, ore che ci impediranno la salita? Cerco di riaddormentarmi, ma la mia mente è confusa da tante domande. La probabilità che il seracco piombi giù in quelle ore, è minima, …di certo non è una roulette russa. Però, mai dire mai! Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio….e se ci chiama… dobbiamo andare. Sono cosciente che l’opinione pubblica non è del mio parere, poiché se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: “Cosa sono andati a cercare là? … Ma chi glielo ha fatto fare? ”.
Una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai! La montagna chiama!
Ci alziamo presto il mattino dopo, sono le 5, anche Olam, il nostro cuoco è già in piedi per mettere l’acqua sul fuoco e per preparaci dei “chapati” (impasto di farina integrale, acqua e sale, che viene schiacciato fino a formare una pizza del diametro di circa 12 centimetri e poi cotto su una piastra asciutta e molto calda, su entrambi i lati).
http://it.youtube.com/watch?v=bnWMrwp194g

Questa volta siamo leggeri e in meno di 5 ore raggiungiamo il campo alto a 5200 m su uno splendido promontorio di roccia. Il posto è sicuro da ogni scarica, l’unico inghippo potrebbe essere il fulmine… non sarebbe poi la prima volta. Passiamo la notte e ci svegliamo nuovamente al mattino presto, una notte fra l’altro dove abbiamo sentito regolarmente i frastuoni di seracchi che crollavano. Ma questo non è nuovo, il ghiacciaio si muove con una velocità impressionante.
Smontiamo la tenda per portarla con noi più in su, ognuno con uno zaino carico di ca. 20 kg. Ci caliamo prima per una sessantina di metri per mettere piede sul ghiacciaio, là dove la salita sembra fattibile. Le condizioni della neve sul ghiacciaio sono ottime. Saliamo con gli sci in spalla. Superato il gradino glaciale più insidioso, ci portiamo sul pianoro che divide il Nanga Parbat dalle cime di Chongra. Sta facendo un caldo infernale, il sole ormai ci accompagna da qualche ora. Finalmente abbiamo individuato un posto dove piantare la tenda. Ci troviamo a ca. 5900 metri sotto un seracco in letargo, fuori dal pericolo di valanghe. Ci affrettiamo a montare la tenda perché è in arrivo un temporale. Il clima. dapprima tropicale è cambiato ad un freddo polare. Così godiamo l’interno della nostra tenda appena montata e ci scaldiamo con la fiamma della bomboletta a gas. Ci prepariamo un bel tè caldo con l’aiuto dei ghiaccioli penzolanti di un seracco sopra la nostra tenda. Alla sera il temporale si attenua ed il cielo si schiarisce. Il sole sta per tramontare, lo vediamo orizzontalmente dalla nostra tenda. Sono momenti indescrivibili, i raggi del sole vengono riflessi dalle nubi e dalla neve creando un carosello di colori fiammanti. Ingeriamo ancora un po’ di grana e di speck in aggiunta di pane secco, la fame c’è, … è un buon segno!
http://it.youtube.com/watch?v=M58b3YgaFWU

All’alba del mattino seguente ci sfiliamo dal sacco a pelo, beviamo qualcosa dai thermos e pian piano c’incamminiamo verso la nostra meta, il Chongra Sud (6448 m). Un po’ più in su allacciamo gli sci, il ghiacciaio spiana verso la cima che si avvicina, la parte finale s’innalza verso il cielo che affrontiamo a piedi per lo spigolo e poco prima delle ore 10 ci siamo. Verso nord est, fra le nuvole, s’intravede il K2. Studiamo bene la discesa dal Nanga Parbat, dal famoso colle d’argento, come lo hanno chiamato le spedizioni tedesche, e…hurra… la discesa con gli sci sembra possibile. Torniamo indietro verso la nostra tenda e scendiamo con gli sci (è sempre un’impresa con le scarpe da montagna) e arriviamo al punto iniziale che è mezzogiorno. Decidiamo di tornare al campo base, anche se il caldo del sole ha intenerito parecchio la superficie nevosa, ma con gli sci forse è meglio. Lasciamo lì la tenda, la fissiamo per bene, poiché ci servirà più avanti, quando torniamo dal Nanga Parbat. Gli sci ci conducono velocemente verso il basso, sciamo fra i crepacci insidiosi del ghiacciaio e poco dopo raggiungiamo in controsalita il promontorio di roccia. Ci riposiamo per ammirare “il nostro pilastro”, sulla parete Raikhot e decidiamo di scendere per un altra via alla base per osservarla più da vicino. Mentre ci avviciniamo si stacca un pezzo di seracco sommatale che innesca una valanga, non sembra grossa, ma man mano che scende inizia ad accumulare volume da farci capire che non sta per niente scherzando. Dico a Walter di filmare, da 3000 metri di dislivello ci impiega circa due minuti di tempo per arrivare alla base. Ci sbalordiamo dal fascino di questa valanga esplosa a 7500 metri. Sta arrivando alla base, ma lei continua…cresce e avanza ancora…ci rendiamo conto che è più grossa del previsto e fra un po’ c’investirà. Iniziamo ad innervosirci, ma io non voglio perdermi questa scena. Avevo già avuto modo di vivere in prima persona emozioni all’interno di quella massa bianca che contiene miliardi di particelle di neve e ghiaccio e che ti copre in pochi secondi di un paio di centimetri, portate da una raffica di vento fortissima. Mi ricorda la nebbia della pianura padana d’inverno mentre si scatena un temporale da fronte freddo. Dopo qualche minuto la nebbia si schiarisce e si dissolve nel nulla come se non fosse successo niente, lasciandoci addosso una spolverata bianca e fredda.
http://it.youtube.com/watch?v=G1C4iAjahT4

Verso sera eccoci di ritorno al campo base, dove nei prossimi giorni, riposeremo per recuperare nuove forze, ma soprattutto per sfamare quella fame insaziabile che è ritornata.

Un saluto affettuoso da Karl Unterkircher, Walter Nones e Simon Kehrer

   
   
2° comunicato - Campo base, 18.06.2008

Karl Unterkircher, Walter Nones e Simon Kehrer scrivono dal Camp Base.
Oggi con diversi  filmati con link su YouTube.

 

Da qualche giorno ormai siamo al campo base che si trova fra due lingue glaciali a ca. 4000 metri. Un campo base semplice da raggiungere. L’abbiamo raggiunto dopo 2 giornate di viaggio. Il primo giorno su un fuoristrada molto esposto e pericoloso, raggiungendo così Jail.
http://it.youtube.com/watch?v=FOR5d4DTQkI

  

Dopo altre due ore di cammino siamo arrivati in questo posto incantevole, sopra la morena glaciale fra un bosco fitto di abeti, ormai tanto conosciuto anche dai turisti locali e chiamato “ Fairy Meadows”, tradotto letteralmente, prato delle fiabe. Abbiamo la nostra montagna proprio di fronte, 3000 metri di parete con i suoi seracchi pensili. Tutti e tre siamo incantati dalla sua maestosità. Maestosità che fa paura e ci induce ad avere tutto rispetto.
http://it.youtube.com/watch?v=KzifxCI5pgk

Ci alloggiamo in una casetta; a cena entriamo in una sala ampia dove sulle mura vi sono molteplici foto di alpinisti noti, da Merkl a Buhl, ma non solo. Il giorno seguente in poche ore giungiamo al campo base. Un prato tutto verde seminato di migliaia e migliaia di fiori e tante marmotte ciccione a distanza ravvicinata. Il profumo di erbe diverse e gli uccelli che cantano. Un posto meraviglioso!
Un campo base storico dove mezzo secolo fa vi furono organizzate diverse spedizioni tedesche. Non c’è nessuno, siamo soli…ciò dice tutto, nessuno vuol più tentare la salita da questa parte. Certo che abbiamo scelto un progetto non da poco. Un pilastro centrale impressionante che da la via di salita a questa parete. Ci rendiamo conto, che è fattibile ma ci vorrà un buon acclimatamento prima di fare un tentativo. Con i giorni che passano vi sono anche delle piccole scariche di neve e di ghiaccio... fa molto caldo. Dopo qualche giorno abbiamo deciso di salire per il ghiacciaio della via di Hermann Buhl per montare un campo a 5200 m su uno sperone di roccia.
http://it.youtube.com/watch?v=YcMqX8NC_cM

Vogliamo conoscere quella che sarà, probabilmente, poi la nostra discesa. Abbiamo gli zaini molto pesanti, c’ è ancora tanta neve sul ghiacciaio, meno male che abbiamo con noi gli sci che ci facilitano la salita ma soprattutto la discesa.  
http://it.youtube.com/watch?v=ZXWOx2BjonI

Un saluto affettuoso da Karl Unterkircher & Co.
   
   
1° comunicato - 11.06.2008

Arriviamo all’ aeroporto di Islamabad e dopo aver recuperato tutto il bagaglio Walter, Simon ed io usciamo dalla dogana senza essere controllati.

Marteen, la nostra guida Urdu che ci farà anche da ufficiale di collegamento, ci aspetta di già e ci racconta poi che era già venuto ieri ad aspettarci…probabilmente ci sarà stato un malinteso....beh meno male che il passaporto ci è stato consegnato 3 ore prima di partire, rimasti fermi all’ ambasciata pakistana a Roma per i soliti rallentamenti burocratici…oltremodo Marteen rischiava di dover aspettarci altri 3 giorni.

All’ Hotel ci arriviamo in macchina, e ormai sono le 4 del mattino. Il giorno dopo ci svegliamo appena alle 2 del pomeriggio; iniziamo la nostra avventura. Non fa così caldo come me l’avevo aspettato, ero abituato a 40 gradi…sarebbe stato bellissimo! Amo il caldo.

  
Alla sera siamo andati nella zona del supermarket chiamata F6, dove fra l’ altro si trova il ristorante italiano “Luna Caprese”, quel ristorante dove qualche mese fa era scoppiata una bomba...mah così da fuori ci sembra tutto ok! Ci hanno conferito però che si trattava semplicemente di un petardo che è scoppiato in strada, davanti al locale …bah, ad ogni modo è l’ unico posto ad Islamabad che conosco, dove si può mangiare la pizza e bere la birra. Il giorno seguente abbiamo un appuntamento in albergo con la nostra agenzia. Ci invitano ad andare all’ufficio del Club Alpino Pakistano per un briefing. Nazir ci confida che non abbiamo ancora ricevuto il permesso ufficiale per la nostra montagna, rilasciato dal Ministero del Turismo Pakistano. Intanto possiamo comunque raggiungere il campo base e salire fino a 6.500 m per acclimatarci, così Tarik Sadici, dirigente del Club Alpino. Ci raccomanda di tenerlo pulito essendo un posto bellissimo dove sostano anche gli angeli. Mi allunga un opuscoletto da leggere per la salvaguardia della natura che ha come titolo “Karakorum Trust”, progetto sostenuto da Agostino da Polenza del comitato EV-K2-CNR.
Fatto questo, ci accompagnano per andare a depositare una cauzione di Euro 4.000 all’ufficio Askari Aviation, in caso necessitassimo dell’ elicottero per un soccorso. Marteen intanto mi racconta che nel 2005 era stato insieme a Reinhold Messner nella valle Diamir dove fra l’altro, è stato proprio lui a trovare i resti di una scarpa con la calza ed ossa umane che appartenevano al fratello Günter, scomparso durante la loro leggendaria traversata nel Rupal – Diamir negli anni 70.
Ormai è tutto pronto per partire. Il giorno seguente ci svegliamo alle 5 perché ci aspettano dodici ore di pullman per la Karakorum Highway per giungere a Chilas.
 

24.05.2008:
in vista dei Giochi Olimpici a Pechino, le autorità cinesi hanno bloccato, tra le altre, anche una spedizione italiana sul Gasherbrum I. Karl Unterkircher, Walter Nones e Daniele Bernasconi dovevano infatti partire il 30 maggio verso la Cina per conquistare l’inviolata parete nord della montagna alta 8.068 metri.
  
«L’esercito - ha detto Unterkircher - ha l’ordine di non fare avvicinare nessuno ai campi base». Come ha spiegato il Gardenese, «Per arrivare al campo ai piedi della parete nord dovremmo passare proprio per un posto di controllo dell’esercito cinese. Ci siamo attivati per avere un permesso speciale ma le speranze sono minime. Ci sono troppi soldi in gioco, non possiamo rischiare di arrivare fin li e poi non poter accedere alla valle».
  
Unterkircher, uomo che non si arrende così facilmente, ha cercato nel frattempo un’alternativa e così ha deciso che, assieme a Nones e Simon Kehrer (Daniele Bernasconi si è ritirato), tenterà la scalata della parete Rakhiot (ved. allegato) al Nanga Parbat (8.125 metri), sempre su una via nord ancora inviolata, un altro ottomila, che però si trova in Pakistan. Karl Unterkircher è già in possesso del relativo permesso e la partenza avverrà il 7 giugno da Milano.

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Val Gardena